a
celebrazione di San Giuseppe è quella che meglio di tutte conserva un sapore
antico, e presenta una serie di rituali a noi pervenuti quasi intatti attraverso
i secoli.
Non
si tratta solo dei fuochi, che restano accesi per tutta la notte ed il giorno
successivo in vari punti del paese, dei legumi, dei "maccherun ca ndrit",
ma di un evento scenografico, ancora osservato con scrupolosa regolarità
da quelle persone ancora dedite alla distribuzione delle varie "devozioni".
Tra le numerose e non lievi incombenze, esse nel giorno di San Giuseppe
vengono impegnate dal "rito della Sacra Famiglia".
Si scelgono tre persone: un uomo, una donna ed un bambino; una volta
tra le più povere del paese, e di spiccata onestà, per dar loro l'occasione
di rimpinzarsi a dovere almeno una volta l' anno.
Un tempo la scelta era imbarazzante, oggi è difficile trovare dei poveri.
I tre soggetti scelti, impersonano Gesù, Giuseppe e Maria. per loro, in
una apposita stanza, chiusa, viene allestita una tavola per un pranzo "specialissimo".
Fagioli,
ceci, cicerchie, fave, verdura (rape),riso (bianco), pasta (maccheroni con
la andrite e maritate), baccalà rosso e fritto, sarde, funghi, asparagi,
lumache,citillo, frittelle (scrppell), caragnole (nocche), arance (tagliate
e condite con zucchero), pane, acqua e vino.
Una serie di preghiere precede il pranzo, lo accompagna (una per ogni
portata), e lo conclude. Dei due camerieri addetti, uno rimane sempre sull'
uscio, l'altro entra solo quando i commensali battono il cucchiaio sul piatto.
Subito dopo a casa di ogni componente la Sacra Famiglia viene portato
un cesto contenente i resti del pranzo raccolti in apposita ciotola, una
pagnotta di pane di quattro chili, scrppell e una vaschetta di ctill, come
prescritto dalla tradizione.
Uno
dei punti più attivi e frequentati resta quella della signora Filomena Fratangelo
(a Cacchiefiell). Viene da chiedersi fino a quando potremo godere dei benefici
offerti da queste donne semplici e generose. Forse ancora per pochi anni
se qualcuno non intervarrà per accompagnare, continuare e preservare questa
tradizione che resta per Morrone e i Morronesi una specie di gioiello di
famiglia, da custodire ad ogni costo.
Da "Viaggio nel Molise" di Francesco Jovine.
uelli
di Marzo sono giorni in cui in paese si festeggia San Giuseppe. Un vecchio,
una vecchia poveri entrambi, e un bambino vengono prescelti per costituire
la Sacra Famiglia.
Dopo la Messa solenne i due vecchi si avviano alla casa dove sono invitati
tenendo per mano il bimbo che precede al centro. Sono puliti, assestati,
compunti; il bimbo è vestito secondo la usanza campagnola, come un adulto:
di scuro con calzoni lunghi, scarpe chiodate, cappelluccio tondo; e si guarda
intorno con gli occhi stupiti, serio e grave come quelli che lo accompagnano.
Lungo la via principale il terzetto incontra altre "Sacre Famiglie" che
hanno la stessa aria, la stessa andatura.
Arrivati nella casa designata, S. Giuseppe, la Madonna e il Bambino dicono:
""Gesù e Maria"". La famiglia devota che è in gruppo ad attenderli risponde:
""Oggi e sempre"".
In una stanzetta appartata c'è la tavola allestita per gli ospiti: le donne
della famiglia servono il pasto, scalze e silenziose. Neanche il vecchio,
la vecchia e il bambino parlano; tutto il pasto deve svolgersi muto, senza
che nessuno osi turbare l'atmosfera di austera devozione che è nell'atto.
Benché il pranzo sia di tredici portate, maccheroni con mollica fritta,
fagioli, ceci, riso, lumache, funghi, pesce ecc. la funzione si svolge rapidamente:
le vecchie mandibole dei due sacri ospiti chissà quanto impiegherebbero
a masticare quel ben di Dio.
Così assaggiano appena le portate; i resti vengono scrupolosamente mandati
nelle ""coscine"" a casa, insieme con un pane enorme che pare la pietra
di un'aia. Partita la "Sacra Famiglia" s'inizia il banchetto comune, più
rumoroso, allegro, con numero imprecisabile di ospiti.
La tavola è apparecchiata. Chiunque entri e chiede in nome di Gesù e Maria
può sedersi a tavola e mangiare. Gli saranno serviti i ceci e i fagioli:
grandi, tiepidi, ben cotti, saporiti di sale e di olio verde. Questi legumi
sono l'orgoglio e il vanto delle donne che si sono alzate due ore prima
dell'alba per metterli al fuoco nelle grandi pentole di coccio e hanno sentito
nel vento di marzo brontolante sul camino, la voce paterna del Santo che
concede la sua grazia e l'abbondanza alle sue devote.
A tavola, ritualmente, si dice che ceci così grossi e saporiti, fagioli
così teneri e bianchi, solo la santa bontà del Patriarca immacolato può
ottenerli. Tutti lodano il Santo e mangiano e bevono; ma i veri pezzenti,
quelli irsuti, laceri e imploranti che in occasione della festa calano da
Morrone e da Lupara, da Castebottaccio, non osano sedersi; portano la bisaccia
per il pane e il secchietto per la minestra. Finita la questua vanno solitari
a saziarsi all'ombra delle fratte già fiorite di albaspina.