I Normanni comparvero per la prima volta in Italia nel 1009, come soldati
al servizio di Melo di Bari, duca di Puglia.
In seguito, nel 1016, si narra che fecero tappa a Salerno dopo un pellegrinaggio
in Terrasanta, trovando la città sotto la minaccia dei Saraceni, e che,
non tollerando una tale situazione, si fossero offerti di scacciare
gli infedeli (è probabile che invece li abbia chiamati il principe).
Erano solo in 40 e il principe di Salerno Guaimario III li avrebbe salutati
vittoriosi: “Miles quadraginta … salve!”.
La consistente emigrazione di Normanni in Campania avvenne qualche tempo
dopo, perché chiamati dal Duca di Napoli Sergio IV, nella guerra contro
il longobardo Pandolfo IV di Capua. I Napoletani, infatti, si opposero
sempre fieramente alle mire espansionistiche dei Longobardi, rimanendo
sempre indipendenti e, solo nominalmente, sotto il governo bizantino.
Rainulfo di Drengot, in cambio dell’aiuto dato, ebbe in premio Aversa
nel 1030 (secondo alcuni nel 1028), e sposò poi la sorella del duca
Sergio. Nel 1038 la sua investitura fu riconosciuta ufficialmente dall’imperatore
Corrado II, grazie anche all’intercessione del principe di Salerno Guaimario
IV. Da qui comincia una dinastia di normanni “campani”: la contea di
Aversa, più le conquiste successive, furono divise in sette feudi tra
quelli che furono i successori di Rainulfo.
I sei fratelli Drengot venivano dal villaggio francese di Quarrel; il
maggiore, Giselberto, era ricercato, per ordine del conte di Normandia
Rolf, per omicidio.
Verso il 1030 erano scesi in Italia dalla penisola del Cotentin i cinque
figli di Tancredi di Hauteville: Guglielmo Braccio di Ferro, Drogone
e Umfredo (avuti dalla prima moglie, la normanna Muriella), e Roberto
e Ruggero, figli della seconda moglie, la nobildonna Fresinda.
Guglielmo si era insignorito di alcune zone del Cilento (a quei tempi
i confini tra Calabria, Basilicata e Campania non erano quelli odierni,
e neppure ben definiti, per cui alcuni testi riportano, in luogo del
Cilento, la Calabria o Basilicata occidentale). Drogone era a capo dei
Normanni di Puglia ed aveva sposato una figlia del principe di Salerno
Guaimario IV (per qualcuno V). Fu ucciso il 10 agosto del 1051 mentre
era in chiesa. Meno di un anno dopo una congiura poneva fine alla vita
del suocero Guaimario e, di conseguenza, allo splendido periodo del
principato di Salerno. Umfredo, che aveva preso il posto di Drogone,
accorse a Salerno per scacciare, con l’intervento di Guido di Conza,
l’usurpatore al trono di Salerno, Pandolfo, e permettere al figlio di
Guaimario, Gisulfo II, di succedere al padre.
Roberto si era attestato in Sila con un gruppo di fedeli. Era lì che
Drogone lo aveva mandato, forse anche per non averlo troppo vicino.
Del resto, per poter aspirare a qualche possedimento, i Normanni dovevano
dar prova di forza, valore e decisione, in pratica dovevano dimostrarsi
degni della ormai leggendaria ferocia normanna. E Roberto se ne dimostrò
subito all’altezza. In Calabria, assieme probabilmente a gruppi di autoctoni,
compiva scorrerie, ruberie, stragi. Con uno stratagemma riuscì a sequestrare
un nobile di Cosenza e a farsi corrispondere un notevole riscatto. Pare
che proprio questo episodio gli abbia guadagnato il soprannome di Guiscardo
coniato, forse, da Gerardo di Buonalbergo. E fu proprio questo nobile
di origine francese a fornire a Roberto truppe per conquistare la Calabria
e, per meglio stringere i rapporti con l’ambizioso giovane normanno,
gli diede in moglie una sua zia: Alberada da cui nacque Marco Boemondo,
il primo figlio maschio del Guiscardo.
I Normanni erano agitati da varie discordie tra di loro, ma si ricompattavano
e facevano fronte comune contro minacce esterne. E così fecero quando
Papa Leone IX con l’aiuto del catapano Argiro e dell’imperatore Enrico
III, organizzò, nel giugno 1053, una reazione all’invadenza normanna.
A Roberto toccò il compito di affrontare i mercenari svevi inviati dall’Imperatore.
Gli Svevi urlavano che avrebbero fatto scempio di quei Normanni piccoli
e neri, segno che tra le truppe di Roberto dovevano esserci molti individui
originari del posto. E non dovevano essere meno determinati dei compagni
Normanni, perché ebbero la meglio sugli Svevi.
La battaglia di Civitate si concluse con la prigionia del papa Leone
IX che fu però rilasciato a patto che legittimasse le loro conquiste.
Per questa operazione in Puglia i Normanni avevano chiesto aiuti e denari
a Gisulfo II, ma questi, che aveva tenuto sempre in odio i Normanni,
ritenendoli complici della congiura contro il padre e, preoccupato,
ne vedeva avanzare il potere, si era rifiutato e si era tenuto sempre
fedele al Papa. I Normanni non dimenticarono il rifiuto.
Dopo Civitate Roberto si diede alla conquista della Calabria e, nel
1057, alla morte di Umfredo, si pose anche alla guida di quel feudo
ereditato dal giovane e ancora troppo debole Abagelardo.
Intanto Ruggero, che prima era al seguito di Roberto, veniva alla ribalta
ormai più forte e indipendente e così il fratello maggiore lo allontanò,
come Drogone aveva fatto con lui, incaricandolo di proseguire la conquista
della Calabria. Non mancarono le invidie tra i due fratelli che spesso
si fecero vere e proprie guerre, ma guai se terzi prendevano iniziative
contro l’uno o contro l’altro.
Nel 1059 papa Nicolò II durante il concilio di Melfi riconosce come
suoi fedeli vassalli Riccardo di Capua e Aversa e Roberto il Guiscardo
Duca di Puglia e Calabria.
La capitale del ducato era Melfi, mentre Ruggero, conte di Calabria,
aveva posto la capitale del suo feudo a Mileto.
Conquistata la Calabria i due fratelli Altavilla fanno una puntata in
Sicilia, dove Roberto lascia il fratello minore per correre in Puglia
a fronteggiare un’invasione bizantina.
Dopo la conquiste dei Normanni, il principato di Salerno aveva perso
molti domini e potere. Il Guiscardo mirava ormai ad Amalfi e Salerno.
Sichelgaita, figlia di Guaimario IV, capì che l’unica speranza di salvezza
era in un’alleanza con i nuovi potenti, da concretizzarsi mediante le
sue nozze con Roberto, ma il fratello Gisulfo rifiutava ogni apertura
verso coloro che vedeva come predoni ed invasori. Dobbiamo ricordare
che i Longobardi, specie quelli del Sud, si erano enormemente raffinati
nei costumi e nella cultura. Erano ormai da quattro secoli nell’Italia
meridionale e ne avevano assorbito la civiltà al punto da poter essere
considerati i continuatori della latinità dando, anzi, nuovi impulsi
a quel mondo romano ormai in decadimento. Gisulfo, poi, era discendente
di una lunga generazione di principi. Quindi non voleva acconsentire
alle richieste di matrimonio di Roberto ed aveva cercato in tutti i
modi di dilazionare una risposta motivandola con l’impossibilità economica
di quel momento di dotare adeguatamente la sorella.
Ma il Guiscardo, spazientito e sentitosi preso in giro, non volle sentir
ragioni e disse che avrebbe dato lui la dote alla sposa. E fu così che
a Melfi nel ‘58 si celebrarono le nozze tra il rude, gigantesco, prode
e affascinante guerriero e la raffinata principessa longobarda di vari
anni più giovane di lui. Tempo addietro Roberto aveva provveduto a far
annullare il matrimonio con Alberada con la scusa che era un matrimonio
tra consanguinei: era la prima volta che si ricorreva a tale motivazione
per sciogliere un contratto matrimoniale. Ovviamente Alverada fu adeguatamente
dotata e ricompensata per essersi fatta da parte.
Pare che Roberto fosse analfabeta e firmasse con un segno di croce (ma
parlava anche il greco e forse il segno di croce era solo un simbolo
che usava per sigillare i patti), e teneva molto in conto i consigli
della colta moglie longobarda. Era lei che curava i rapporti con la
Chiesa ed era in relazione di grande amicizia con il vescovo di Salerno,
Alfano, e con gli abati di Cava, di Montecassino e con Ildebrando di
Soana, poi Gregorio VII, antichi compagni di cenobio di Alfano.
Nella questione tra papato e l’imperatore Enrico IV, Roberto preferì
schierarsi col Papa pur essendo in precedenza venuto in contrasto con
la Santa Sede per avere egli occupato i territori di Benevento. Nel
frattempo aveva affidato a Ruggero il compito di portare a termine le
conquiste in Sicilia.
Intanto, il fratellastro Guglielmo con le sue invasioni si era spinto
in territori alle porte di Salerno. Questo preoccupava Gisulfo, ma anche
il Guiscardo che aveva dato alla moglie il compito di mediare. Ma Guglielmo
non intendeva ragione e non aveva voluto dare ascolto al Papa che nel
1° agosto 1067 aveva indetto un concilio proprio a Melfi nella speranza
di risolvere la questione normanna. Guglielmo fu scomunicato. Ma fu
fatto partecipare alle Assise che papa Alessandro II poco dopo tenne
a Salerno e a cui era accorso anche il Guiscardo. Guglielmo venne a
più miti consigli e fu perdonato.
Nel 1072 Roberto accorse a dare man forte al fratello e riuscì ad espugnare
Palermo. Probabilmente lo raggiunse anche Sichelgaita e il 10 gennaio
1072 Roberto, Sichelgaita, Ruggero, seguiti dagli altri normanni impegnati
in quella spedizione, entrarono trionfalmente nella basilica di Santa
Maria che i musulmani secoli prima avevano trasformato in moschea. Roberto
era ora effettivamente anche Duca di Sicilia, non ancora tutta conquistata.
In seguito il fratello, a sorpresa, si fece nominare dal Papa Gran Conte
di Sicilia, diretto feudatario del Papa.
Roberto aveva una certa età e si presentava il problema della successione
al Ducato: il primogenito era Boemondo, valoroso ed instancabile guerriero,
somigliantissimo al padre e figlio di una normanna, cosa di non poco
peso per i normanni più intransigenti; la seconda moglie di Roberto
voleva a tutti i costi la designazione al trono del suo primogenito
Ruggero detto Borsa, anche perché ciò avrebbe accontentato il partito
di quei nobili ancora legati ai longobardi. Fu così che a seguito di
una malattia di Roberto, che aveva fatto temere per la sua vita, anzi
si era già diffusa la notizia della sua morte, Sichelgaita si era decisa
a risolvere la questione in maniera definitiva: secondo Orderico Vitale,
storico e compositore della Historia Ecclesiastica del XII secolo, avrebbe
fatto propinare del veleno a Boemondo (Sichelgaita si intendeva di erboristeria
ed altre arti mediche avendo appreso tali dottrine a Salerno). Il marito,
saputolo, si precipitò da lei giurando di ucciderla se non avesse salvato
Boemondo. Fu così che al giovane Boemondo in fin di vita fu somministrato
l’antidoto (o gli furono dedicate cure più sollecite ed appropriate.
E forse era questo di cui Roberto accusava la moglie e non di avvelenamento).
Da allora, però Boemondo conservò sempre un colorito pallido.
Nel 1074 il Guiscardo aveva stipulato un’alleanza col Basileus di Bisanzio,
rafforzandolo con un patto matrimoniale tra la sua giovanissima figlia
Olimpia, ed il successore, ancora bambino, al trono di Bisanzio. Ed
è in quel periodo che l’erede al trono del ducato di Puglia, Calabria
e Sicilia risulta essere stato designato Ruggero Borsa: il padre aveva
dovuto conferire la dignità di “curopalata” ad uno dei suoi figli e
questi risultava essere Ruggero; e nell’Exultet della Cattedrale
di Bari, dopo i nomi di Michele VII, del suo erede, il figlio Costantino,
e della sua fidanzata Olimpia, erano subito nominati Roberto, Sikelgaita
e Ruggero Borsa. Ma nel 1078 la destituzione di Michele sconvolse l’alleanza
e Roberto attese il momento propizio per una vendetta.
Nel ’74 il Papa scomunicava Roberto per aver invaso i possedimenti della
Chiesa in quel di Benevento e riconfermò la scomunica nel ’75.
I rapporti con i Drengot non erano stati propriamente idilliaci. Ma
in quel periodo Riccardo Drengot era tornato dalla parte di Roberto
e insieme tentavano l’assedio di Napoli. Mentre Giordano di Capua che
aveva sposato Gaitelgrima, sorella di Sighelgaita e di Gisulfo, col
quale aveva stretto alleanza contro Roberto.
Ma Roberto non era ancora contento delle sue conquiste, o forse si sarebbe
accontentato di avere il principe di Salerno come alleato, ma Gisulfo
non faceva che agitarsi in cerca di alleanze e accordi contro il cognato.
Fu così che i timori del principe divennero realtà: nei primi di maggio
del 1076 il normanno iniziò l’assedio a Salerno. Fu lungo e penoso;
nonostante la popolazione fosse allo stremo, il principe non voleva
cedere all’evidenza. Nel 1077 consegnò la città agli invasori rifugiandosi
prima a Nocera e poi a Roma (ma prima, di nascosto aveva fatto un’altra
tappa in Campania cercando alleanze presso altri nobili che però lo
allontanarono per non guastare i rapporti con Roberto), dove il Papa
accolse paternamente lui e la sua famiglia affidandogli incarichi di
ambasciatore della Santa Sede. Infatti Gisulfo tornerà a Salerno in
tale veste a seguito di Gregorio VII.
La capitale del Ducato di Puglia e Calabria fu spostata a Salerno dove
i Duchi fecero erigere una nuova cattedrale ed una nuova reggia, più
a oriente rispetto all’antico insediamento longobardo.
Verso il 1078 Giordano e Gaitelgrima riuscirono a far insorgere alcuni
feudatari di Puglia impegnando così il Guiscardo, Boemondo e Sighelgaita
alla quale il marito, dovendosi spostare a Castellaneta, affidò il controllo
militare di Trani.
Roberto non aveva dimenticato l’affronto subito dai bizantini e con
questa scusa organizzò una spedizione nei Balcani a bordo di una notevole
flotta. Con la moglie e i figli Boemondo e Ruggero conquistò Durazzo,
Corfù e Avlona. Grandi successi conseguì Boemondo e anche Sikelgaita
si distinse per coraggio e intraprendenza secondo quanto racconta Anna
Comnena: mentre il marito era impegnato a combattere in una zona distante,
lei durante la battaglia fu colpita ad una spalla, ma vedendo che le
truppe si stavano disperdendo, si strappò la freccia dalla spalla e
continuò a combattere arringando i militi, riuscendo così a riguadagnare
una posizione di vantaggio.
Ma il Papa a Roma, assediato dalle truppe dell’Imperatore, aveva bisogno
di aiuto.
Intanto Ermanno, Abelardo ed Enrico di Conversano si erano ribellati
al Duca. Roberto lasciò le operazioni militari in territorio bizantino
nelle valide mani di Boemondo, e tornò in Italia.
Sconfisse le truppe imperiali sottoponendo Roma ad una feroce devastazione
e portò con sé a Salerno Gregorio VII.
Un mese dopo la Cattedrale di Salerno veniva aperta al culto e consacrata
proprio dal Papa.
Nell’ottobre ’84 i Duchi salernitani partirono per Brindisi nuovamente
diretti alla conquista dei territori bizantini. Il 25 maggio moriva
a Salerno Gregorio VII. Pochi mesi più tardi dopo la vittoria a Cefalonia,
il 17 luglio moriva Roberto il Guiscardo. Fu sepolto nella cattedrale
della Santissima Trinità a Venosa come molti altri suoi familiari e
la prima moglie Alberada. Anche in questo caso, secondo Orderico Vitale,
Sichelgaita fu sospettata di aver avvelenato il marito. A Roberto succedette
Ruggero Borsa e a Boemondo fu lasciata Taranto e pochi altri possedimenti,
più quelli che fosse riuscito a conquistare. Boemondo non accettò di
buon grado tale posizione e tra i due fratellastri ci furono aspre contese,
finché non intervenne lo zio il gran conte Ruggero.
Alla fine Boemondo (come molti nobili spodestati ed in cerca di fortuna)
organizzò una spedizione in Terrasanta cui parteciparono con valore
(ma nel caso delle crociate è il caso di dire anche con crudeltà e ferocia)
anche il nipote Tancredi e Roberto di Buonalbergo, oltre a molti altri
nobili. Alla spedizione parteciparono cavalieri campani ed un notevole
gruppo di calabresi. Boemondo fu insignito del principato di Antiochia
ed estese i suoi domini anche in Siria Cilicia e Armenia. Tentò anche
di tornare alla conquista della Grecia, ma, dopo una disfatta a Durazzo,
morì nel 1111 mentre, ferito, cercavano di riportarlo a Salerno sperando
in opportune cure. Fu sepolto nella Cattedrale di Canosa. A lui successe
il figlio Boemondo II, prima sotto la reggenza della madre Costanza,
figlia del re di Francia Filippo I, che invano cercò di controllare
le rivolte in Puglia. Fu più volte catturata. Morì in prigionia. Ad
Antiochia successe poi la figlia di Boemondo II, Costanza, e poi il
di lei figlio, Boemondo III. Seguirono Boemondo IV, V, VI, e VII (+
1287) e con lui finì il principato.
A Salerno Ruggero Borsa non aveva la stessa intraprendenza del padre
e del fratellastro. Anche di fisico, pare, non avesse la stessa prestanza.
Il suo regno fu segnato dall’impegno a mantenere i suoi domini. Sposò
la danese Adala o Ada dalla quale ebbe il figlio Guglielmo. In cambio
di aiuti militari si sarebbe impegnato a cedere allo zio Ruggero I Gran
Conte di Sicilia una parte del suo ducato. Nel 1092 chiede a papa Urbano
II, che era a Salerno dopo aver consacrato la Basilica benedettina di
Cava, l’investitura del Ducato di Puglia dichiarandosi suo vassallo.
Ruggero morì nello stesso anno di Boemondo col quale si era nel frattempo
riappacificato.
A Ruggero Borsa succede, sotto la tutela della madre fino al 1114, Guglielmo
il Buono: bello, buono e poco bellicoso. Il periodo del suo regno fu
caratterizzato dalla lotta contro le pretese di indipendenza di alcuni
feudatari. La sua investitura ebbe luogo a Messina con papa Gelasio
(come risulta da recenti ricerche - secondo invece quanto ci ha tramandato
Romualdo Guarna, l'investitura avvenne il 9 marzo 1118 a Gaeta). Morì
il 7 agosto 1127. Come suo padre, fu sepolto nel duomo di Salerno e
si narra che quando la moglie Gaitelgrima, figlia di Roberto d’Airola
(o Alife), secondo un’antica usanza normanna, si tagliò la chioma per
deporla nel sarcofago con il marito, anche le altre nobildonne, in o
afflitte per la perdita del loro buon principe, segno di lutto tagliarono
i loro capelli e li misero nel sarcofago.
Appena apprese della morte del nipote salernitano Ruggero II di Sicilia
si precipitò nella capitale del Ducato accampando diritti di eredità.
Dopo varie lotte con i nobili del continente, nel 1130 fu eletto Re
di Calabria Puglia e Sicilia per elezione dei maggiorenti.
Nel dicembre dello stesso anno fu ufficialmente incoronato nel duomo
di Palermo da Riccardo di Capua, uno dei maggiori feudatari campani.
In Campania acerrimo nemico del re Ruggero fu Rainulfo d’Alife (alcuni
lo indicano come Rainulfo II, altri, forse più correttamente, come Rainulfo
III), che aveva sposato Matilde, sorella di Ruggero. Tra i due cognati
ci furono lotte senza esclusione di colpi; Rainulfo fu una vera spina
nel fianco, un osso duro, difficile da domare. Ruggero arrivò anche
a sequestrargli la moglie e il figlioletto, portandoli in Sicilia e
restituendoli in seguito ad un accordo raggiunto col cognato. Ma la
guerra tra i due finì solo dopo la morte del Drengot, il 30 aprile 1138.
Il nobile campano era stato sepolto a Troia, ma Ruggero, non pago della
vittoria che solo il caso gli aveva dato, lo fece disseppellire e ne
trascinò il cadavere, legato ad un cavallo, per la strada. Le lotte
però continuarono tra Ruggero e Riccardo di Rupecanina, fratello di
Rainulfo e Roberto di Capua. Valoroso fu anche Andrea di Rupecanina,
figlio di Riccardo. Ma entrambi, sconfitti da Ruggero, dovettero riparare
in Germania dove Riccardo morì. Andrea tornò nel 1155 (al seguito di
Federico Barbarossa sceso a Roma per farsi incoronare), sperando in
aiuti del Papa Alessandro IV. Nel 1156 Roberto di Aversa perse la città
che passò definitivamente nelle mani dell’Altavilla.
Finisce così anche il potere dei Drengot in Campania.
Bibliografia:
Mito di una città meridionale; Paolo Delogu;
Liguori Editore
Salerno, profilo storico cronologico;
Gallo- Troisi; Palladio
Sichelgaita Signora del Mezzogiorno; Michele
Scozia; Alfredo Guida Editore
Sichelgaita tra Longobardi e Normanni;
Dorotea Memoli Apicella; Elea Press
Siti internet:
storiadelmondo.com; storiaonline.org;
campaniafelix.it; web.tiscali.it areacom.it;
optacon.calabria.it; mondotre.com; enec.it;
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