IL LUNGO INVERNO DEL '43: IL GENERALE MONTGOMERY A MORRONE.
Dall'autunno '43 alla primavera del '44 i Morronesi vissero un periodo molto drammatico. Il paese divenne, per qualche settimana, uno dei capisaldi della linea Gustav, quella approntata dai tedeschi per bloccare
l'avanzata anglo-americana proveniente dal Sud della penisola.
Andava da Termoli fino a Gaeta, attraverso l'Appennino e il Volturno (come ai tempi di Annibale), ed era incardinata sulla posizione
strategica di Cassino.
I Morronesi, per lo più vecchi, donne, bambini e reduci sbandati dopo l'8 settembre, dovettero convivere prima con i tedeschi, poi con le truppe alleate, fino all'11 maggio
del '44, quando iniziò l'offensiva anglo-americana che portò allo sfondamento della linea Gustav e all'arretramento del fronte tedesco sulla linea Hitler, da Vasto ad Anzio.
Dopo l'8
settembre, a Morrone, il podestà, Achille Mastandrea, venne sostituito dal commissario Luigi Colasurdo, geometra, ufficiale della guerra '15-'18, antifascista e socialista, già sindaco in precedenza.
Questi dovette fronteggiare due sommosse popolari.
La notte del 26 settembre, trecento morronesi diedero l'assalto agli "Ammassi" (andranno assolti nel processo celebrato a Larino 13 anni dopo).
E la rivolta contro la raccolta dei metalli, necessaria all'industria bellica (primi di ottobre): Morrone aveva già dato le campane e la statua bronzea del monumento e non intendeva dare altro.
Nei dintorni del paese erano dislocate le truppe tedesche. Quasi ogni giorno si presentavano in municipio per chiedere al commissario pane, uova, olio, formaggio, lardo e salumi. Se non li
ottenevano, li cercavano personalmente.
Altrettanto facevano per impossessarsi dei muli: ai proprietari dicevano, con ironia, che li avrebbe risarciti Badoglio.
Dopo alcuni giorni, un reparto s'installò a
Morrone. Occupò il palazzo Colasurdo (nella Piazzetta; ora sede dell'ufficio postale). Il comando si sistemò nella casa di Corradino Mastrogiacomo. Avevano sempre freddo e chiedevano del fuoco.
I primi giorni accesero con la benzina un fuoco vicino alla Maddalena, per scaldarsi, sotto lo sguardo attonito di una folla di ragazzi.
Poi imposero un rigoroso coprifuoco. Un contadino,
Roberto Pillo, incurante degli ordini, si era recato in
campagna ad accudire le bestie.
Fu ucciso da una sentinella. Erano le 8:30 di giovedì 14 ottobre. È ancora
negli occhi e nella memoria di molti la scena di quel
povero contadino, riportato a casa su una scala a pioli
A metà ottobre i tedeschi si ritirarono, giudicando più
conveniente spostare la linea del fronte verso Petrella e
il Biferno, incalzati da un attacco aereo alleato, scatenato in un bel pomeriggio di sole, lungo la statale 157,
verso la stazione di Matrice.
Già nella notte del 13 ottobre, in silenzio, avevano cominciato a lasciare il paese.
Il giorno dopo qualcuno ebbe l'idea di suonare le campane. Ma verso le ore 15, dalle campagne di Lupara,
arrivarono parecchie cannonate tedesche: danneggiarono vari edifici e solleticarono il Campanile.
Per la circostanza, in una delle abitazioni vicino al Castello, ad
est, il proprietario, Gabriele Carbone e Angelo Michele
Mustillo (ex artigliere di Spagna) scesero in cantina per scoprire la provenienza dei tiri. Furono uccisi entrambi da una cannonata.
Poche ore dopo arrivarono i primi reparti dell'Ottava Armata.
Armi in pugno, di vicolo in vicolo, avanzarono guardinghi. Il Comando prese alloggio in casa del notaio Mastrogiacomo; altri nel palazzo Colasurdo; gli ufficiali nella casa del dottor Achille,
tenente-colonnello richiamato.
Altre case furono requisite. Una doppia fila di carri armati, autoblindo e mitragliatrici, intervallate da montagne di munizioni, si estendeva dal Colle delle Croci
fino al Castello.
Le aree vicino all'abitato, specie quelle
più elevate, vennero fortificate. Furono scavate centinaia di buche per posizionare mitragliatrici e cannoni.
Insieme agli scozzesi, agli inglesi e ai canadesi, arrivò
anche il Comandante dell'Ottava Armata, Generale
Montgomery.
Visitò il Comando operativo dislocato
nella casa del notaio Corradino Mastrogiacomo, dormì
nella casa di don Achille e ripartì il giorno dopo.
Peppino Storto
(Tratto dal testo di Vittorio Mastromonaco)