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La storia di Morrone del Sannio
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FrancoValente
Se non si sta bene attenti facilmente si salta il bivio che dalla Bifernina permette di salire all’antica badia di S. Maria di Casalpiano in agro di Morrone del
Sannio perché solo un cartello, malamente posizionato, avverte chi passa. Non solo. Una volta imboccata la carrozzabile secondaria, bisogna stare attenti alle curve ed alle buche se
si vuole arrivare indenni fino alla basilica. Anzi, non alla basilica, ma alle basiliche, perché a Casalpiano di chiese ve ne sono due, quasi per complicare la vita agli storici
dell’arte e dell’architettura che non riescono a capire cosa sia successo.
Ma andiamo per gradi.
Come accade frequentemente nel Medioevo, gli edifici importanti nascono appoggiandosi alle strutture più antiche di costruzioni romane, riciclando tutto quel
materiale di spoglio che poteva avere una utilità pratica nella ricostruzione, ammesso che di ricostruzione si possa parlare.
Le prime notizie, infatti, sono relative all’anno 1017 con il presbitero Petrus che, come racconta Pietro Diacono, offrì parte di questa chiesa all’Abate Atenolfo
di Montecassino. La chiesa doveva essere dedicata a S. Apollinare, come si ricava da un altro documento datato ugualmente 1017 che richiama ancora il predetto Petrus “presbyter
et monachus”, nonché l’altro monaco e presbitero Martino “de ipsa iam dicta ecclesia Sce Marie”. I due vengono ancora richiamati in altra parte: “Necnon et Petrus
et Martinus presbyteri similiter obtulerunt beato Benedicto ecclesiam S. Marie et S. Apollinaris in eodem Murrone, loco vocabulo Casale planum “.
L’attività religiosa di Casalpiano ebbe vita lunga continuando ad essere soggetta a Montecassino, tanto che i priori pagavano all’abate Bernardo I (1263 – 1282) quattro once d’oro
che passarono a venti ducati sotto il suo successore Tommaso (1285 – 1288).
Da queste scarne notizie si deve partire per saperne qualcosa di più, perché a Casalpiano di chiese ve ne sono due, quasi per complicare la vita agli storici dell’arte e
dell’architettura che non riescono a capire cosa sia successo in quel luogo nei secoli a cavallo dell’anno Mille.
Il cosiddetto “romanico” (termine inventato nell’Ottocento) è uno stile architettonico che nasce utilizzando soprattutto gli elementi minimi delle architetture
romane (capitelli, rocchi di colonne, architravi, blocchi lapidei già squadrati) che vengono aggregati formando un nuovo organismo assolutamente originale per la sua concezione
spaziale che non ha concreti riferimenti nella defunta architettura classica e che precede uno stile, quello gotico, che lo contestò sostanzialmente con il suo esasperato
verticalismo. Eppure, sebbene il “romanico” sia riferibile ad un’epoca precisa, coloro che vissero in quell’epoca non ebbero mai coscienza di aver prodotto quello stile particolare.
Nella zona di Casalpiano esisteva una villa rustica che, come tutte le grandi ville romane, era attrezzata non solo per le attività agricole, ma anche e
soprattutto per garantire al padrone una comoda residenza. Lo scavo archeologico condotto in maniera scientificamente irresponsabile negli anni passati (alle scoperte
importantissime non è seguito un impegno altrettanto importante per la conservazione), ha rivelato la presenza di ambienti con pavimenti a mosaico dalla fattura certamente non
simile a quelli della lontana Piazza Armerina in Sicilia o della nostra Larino (per fare un esempio più vicino), ma comunque sufficientemente interessanti per le decorazioni a
motivi geometrici. Si sono scoperti ambienti articolati sotto il pavimento di una delle due basiliche che fanno ipotizzare una continuità di uso del nucleo agricolo per più di un
secolo.
Ma soprattutto si è scavato un piccolo complesso termale domestico che fra qualche anno potrà essere visto solo da chi avrà la fortuna di possedere qualche
fotografia scattata prima che le gelature, l’incuria degli archeologi ed il disinteresse della Soprintendenza del Molise ne abbiano determinato la definitiva distruzione.
Ma fin qui nulla di particolare. La villa di Casalpiano ha assunto una certa importanza per il ritrovamento di una lapide che i domestici di Rectina vollero
collocare per ringraziare gli dei per il ritorno della padrona scampata ad un pericolo.
Chi era Rectina e quale il pericolo? L’intuizione l’ebbe nel 1939 l’americano Van Buren che ritenne di individuare in quella nobildonna romana la Rectina di cui parlò Plinio il
Giovane nella lettera inviata a Tacito per raccontare della disastrosa eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.. Plinio non dice esplicitamente se Rectina sia riuscita a salvarsi, ma la
nostra lapide confermerebbe un lieto fine alla sua avventurosa vacanza ad Ercolano.
Poi la villa andò in decadenza e soltanto con il poderoso impulso riorganizzativo delle attività agricole, nell’ambito di una concezione religiosa legata alla
preghiera ed al lavoro, quel complesso abbandonato tornò a nuova vita ad opera dei monaci benedettini.
Oggi a Casalpiano vi sono due basiliche. Una più grande a tre navate, quasi totalmente diruta ma con le tre absidi semicircolari che ancora sfidano il tempo.
L’altra, più piccola, completamente restaurata e funzionante, cui si aggrega il campanile-piccionaia, il cappellone di S. Michele Arcangelo e l’edificio rustico che, pur avendo
assunto i caratteri tipici dei monumenti da poco restaurati, permette di individuare in esso una serie di funzioni legate comunque alle esigenze residenziali dei religiosi o dei
villani che l’abitarono.
Datare questi edifici non è facile, ma sono convinto che la basilica diruta è la più antica delle due perché mostra i caratteri di quella cultura chiamata
impropriamente carolingia e che risente delle più originali invenzioni costantiniane. La seconda potrebbe essere stata ricostruita utilizzando le pietre squadrate della prima ed
acquisendo un paramento esterno composto con gli archetti e le lesene prelevati dall’edificio più antico che stava a lato? Oppure le due chiese sono riferibili una a S. Apollinare e
l’altra a S. Maria?
Della questione si riparlerà a tempo opportuno perché sono tanti gli enigmi da risolvere per questo insigne complesso che attirò l’attenzione del grande abate
cassinese Desiderio, poi divenuto papa con il nome di Vittore III, che nel 1071, mentre si recava alle isole Tremiti per sistemare alcune questioni delicate, ritenne opportuno
affidare la chiesa al prete Rodolfo che la chiedeva in fitto.
Anche l’archivio di Montecassino è povero di documenti che possano squarciare il velo dei dubbi sulle vicende di Casalpiano, ma probabilmente una più attenta analisi di quello che
fisicamente sopravvive potrà essere di aiuto a trovare qualche conclusione plausibile sulla sua vicenda architettonica. Certamente a Casalpiano di Morrone si riferisce l’epigrafe in
uno dei pannelli di bronzo e argento della porta della basilica desideriana di Montecassino realizzata a Costantinopoli: S(anct)a Maria in Casali Planu cum o(mn)ib(us) per/tinentiis
suis.
La sua storia religiosa, invece, non è stata di grande insegnamento per chi ha scavato e dissotterrato i resti mortali di chi vi era sepolto. Personalmente sono
tra coloro che si battono perché i defunti siano lasciati in santa pace nelle loro tombe. Non ha importanza se la loro inumazione si avvenuta dieci anni fa, un secolo fa o mille
anni fa. Gli archeologi sono troppo superficiali e non vogliono capire che, una volta scavata e analizzata una tomba, sarebbe opportuno rimettere le ossa al loro posto e ricoprirle
pietosamente di terra. Non vogliono capire che sarebbe opportuno evitare che almeno le sepolture vengano ridotte ad oggetto di interesse turistico. Peraltro a Casalpiano le tombe,
disperse le ossa dei defunti, sono diventate solo ricettacolo di immondizie. Come a S. Vincenzo al Volturno, dove la tomba di Talarico, privata del corpo del santo abate,
inutilmente ricorda nell’epigrafe obituaria: EGO TALARICUS EXPECTO SANCTAM RESURRECTIONEM.
Ulteriori articoli sul Molise: http://www.francovalente.it/
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