CENNI DI VITA DEL BEATO ROBERT0

 

 

 

 

Spirava per la chiesa cattolica romana già l’aria di vendetta da parte dei Comuni e delle Signorie italiane, aria che doveva sfociare nel 1303 al triste episodio dell’offesa di Anagni ed al trasferimento della sede del Papato da Roma ad Avignone .

Nacque in questo tempo, nell’anno di grazia 1273, il Beato Roberto nel piccolo abitato di Salle (Pescara) da Tommaso e Benedetta.

Fin da bambino sentì trasportato verso la contemplazione dei Cieli, amò il raccoglimento della penombra viola delle chiese, senti la calma gioia delle mille luci, che al crepuscolo inondano di colori indescrivibili le solitarie cime della Maiella madre.

Tuffato sui monti dell'Abruzzo e del Molise profumati di genziana e ginestra in fiore il Piccoletto sognò oasi di Paradiso, lasciando che questi sogni si protraessero lungamente e si dileguassero solo quando le stelle si accecavano nell'alba novella.

A solo sette anni stupì i familiari perché, al posto di nutrire odio, andò a baciare pubblicamente un giovane che aveva ucciso la sua cara sorella, dimostrando così come sanno perdonare i Santi. Nelle sue solitarie contemplazioni, audaci pensieri guizzano per la mente adolescente.

«Si nasce, si cresce, si invecchia, si muore, Un succedersi di atti, una moltitudine di scene comiche e tragiche e poi l’epilogo finale, immutabile, tenebroso : la morte.

Cos’è questa vita di gioie e dolori, di speranze e di aneliti, di roventi passioni e d’impeti indomabili?

Perché in tutti vi è una cocciuta volontà di vivere il mondo della materia, se, poi, la tremenda dea dalle vuote occhiaie intenebra il mondo, spegne l’incanto e ci costringe alla morte per marcire, per diventare terra e nulla più? Bisogna trovare il modo di vivere senza il panico della morte».

 

Fu durante gli attimi di tale meditazione che il B. Roberto si rammentò di uomini che seppero cantare anche nelle pene e morire pregando:

Laudate sii, mi Signore, per nostra sorella morte corporale

La decisione fu fatta. Nel 1288, per mano di S. Pietro Celestino, il Piccoletto vesti l'abito monacale e divenne Fra Roberto da Salle.

Da questo momento il futuro Papa Celestino V volle chiamarlo «il Santuccio».

Entrò a far parte di quella comunità religiosa di uomini che solo vivono a contatto con i valori sommi della vita e con essi inizio il suo apostolato di redenzione, di penitenza, di preghiera, di opere.

Dio lo aveva chiamato, come a Cefa sul mare di Tiberiade: «Vieni e seguimi» e Roberto aveva risposto, abbandonandosi tutto al suo Signore.

Quanto fu bello, per il nostro Beato, morire e vincere per Cristo! Solo ora Robertino, al chiarore di qualche tenue lumicino nella romita spelonca del Morrone, sente la sua anima invasa dalla pace e dall'innocenza francescana, mentre la notte si incurva col milione di stelle sulle greppi d'Abruzzo e del Molise.

Ma la vita di un apostolo non può esaurirsi nell'estasi e nella meditazione.

Roberto lavora per il nuovo Ordine monastico, tanto da essere considerato e dal Celidonio e dal Telera «secondo fondatore dei Celestini»

 

Nel 1317 fu eletto Priore del Priorato di S. Croce della Rocca di Montepiano; nel 1320 costruisce il Convento contiguo alla chiesa di S. Pietro Apostolo: a distanza di qualche anno il Convento di Gessopalena; nel 1327 acquistò a Caramanico un terreno per innalzarvi un gran- de Monastero; dal 1333 in poi mise in opera i Conventi di Lama dei Peligni, Atessa, Morrone del Sannio.

Ai confini della Diocesi di Chieti sorse, per sua volontà, un grandioso Ospedale con lo scopo di accogliere 1 pellegrini di passaggio alla volta del Gargano. Trascorse la sua vita terrena nell'Eremo di S. Onofrio presso Sulmona e per le contrade dell'Abruzzo e del Molise. Un letto di secche foglie e più spesso di dura pietra, qualche panca chiodata, un rozzo tavolo ed una grossa croce sono gli unici ornamenti delle sue diverse celle.

Dappertutto la povertà che inciela e la natura selvaggia che rapisce. Nelle ore di notte e di giorno il Beato lotta per riformarsi, migliorarsi, perfezionarsi per elevare lo spirito all'altezza della santità.

Si sospendeva per lungo tempo ad un tronco di albero a forma di croce per imitare Cristo e castigare la carne.

Padre Aurélieu, nel suo «Saint Pierre Célestin», scrive: Dans cette posture mystique et pénitente, il méditait pendant des heures continuelles sur la Passion du Saveur ».

 

Quando giunse l'eco della prima chiamata del suo Maestro S. Pietro Celestino al soglio pontificio, il B. Roberto gli consiglia di fuggire. e così imitare Gesù, il quale, per non essere acclamato Re delle turbe, preferì rifugiarsi nel deserto.

Ed è veramente significativo che S. Celestino, all'insaputa di tutti, fugge con la sola compagnia di Roberto. Dura vari mesi questo

peregrinare attraverso i pascoli senza confini, i querceti sempre vergini, i dossali di ginestre che a maggio si agghindano, i cespi di giunchi e pungitopi, i ruscelli che chioccolano, i crinali dei monti del Matese e della Maiella. Preferisce il nostro Roberto questo spettacolo a quello della corte papale. In questo egli vede le greggi transumanti brucare l'erba novella e ritrova nell'umile agnello «la pecorella si cara al cuore di Gesù».

In questo egli ammira il volo dell'allodola terragnuola e del falco appenninico, i quali, in prossimità di vette eccelse, cantano con solennità la grandezza del Cieli.

Cosa importa se il divino Poeta, male interpretando il gesto di San Celestino, consacrerà nella sua Commedia « la viltà del gran rifiuto»? Gli uomini e la storia successiva solennemente diranno che non la viltà consiglio « il gran rifiuto», ma quella profonda umiltà che sola alberga nelle anime nobili.

Ma l'ascesa del maestro Pietro al trono papale era decretata.

L'umile fondatore dei Celestini, al momento della partenza per Roma, pregò Roberto di seguirlo onde alleviargli il gran peso del pontificato.

Fra Roberto, all'offerta, che voleva senz'altro significare l'onore della porpora e del cappello cardinalizio, a capo chino, disse che preferiva «piuttosto essere fatto successore del Morrone che partecipe del Vaticano ».

Rimane nel suo Abruzzo e Molise, vivendo e ricordando le parole di Nostro Signore Gesù Cristo: «Come agnelli fra i lupi, così io vi mando fra gli uomini. Non temete chi uccide il corpo e nulla può contro l'anima. Temete chi ha potere e sul corpo e sull'anima. Non lo nascondo: a causa del mio nome il mondo vi respingerà, vi oltraggerà, vi batterà, vi ucciderà. Nonostante voi andrete al mondo ed il mondo non avrà giustificazioni perchè da se si è preclusa la via del perdono e della salvezza. In ultimo gli eletti splenderanno nella Gloria come scintille nella notte».

E come scintilla nella notte Roberto sfolgorò nell'ora nona del 18 luglio 1341 allorchè internato nel dolore e nella meditazione ed in preda all'estasi, senti la voce amabile del suo adorato Gesù.

Chiuse la sua vita terrena a 68 anni nel Convento di Morrone del Sannio (Campobasso), cenobio da Lui stesso fatto costruire in terra di nascita del suo diletto Maestro Celestino V.

I MIRACOLI

Le grazie del Cielo, per intercessione del Beato Roberto, sono in numero considerevole, pur se in parte non sono state registrate e controllate così come oggi è in uso e sono, quindi, rimaste in sbiaditi manoscritti privati o nel cuore del popolo beneficiato.

Non è questo il luogo adatto per una dettagliata cronologia dei miracoli ottenuti a mezzo del Beato Roberto. Ricorderemo i più popolari ed attendibili.

Era in costruzione il Convento di Morrone del Sannio (le cui mura dirute ancora testimoniano la grandezza dell'opera) e la fabbrica veniva dal Beato stesso diretta intorno agli anni del 1330-1341. Gli operai, in numero di 5 o 6 dovevano sollevare un grosso blocco di pietra a forma triangolare per porlo sul colonnato del portale. Il peso del masso si aggirava intorno ai 10 o 12 quintali. Per la vicina mulattiera non transitava anima viva. Non si possedevano mezzi moderni che facilitassero il lavoro. Il Beato propose al lavoratori di fare colazione, sperando che nel frattempo passasse qualche anima buona di agricoltore. Cosi fu fatto. Terminata la colazione, all'ombra maestosa di una quercia, quale non fu lo stupore di tutti gli operai allorchè videro che il blocco era bello e sistemato nel suo giusto posto!

Sul volto del Beato poterono leggere la certezza del miracolo. Altro giorno, sempre in Morrone del Sannio e durante la costruzione del sopradetto Monastero, gli operai avevano smesso di lavorare e si apprestavano alla colazione delle nove. Sulla povera mensa imbandita, nella nuda terra al piedi della fabbrica, vi erano alcune fette di pane ed un solo uovo cotto. Nessuno voleva toccare per primo l'uovo, temendo di lasciare senza companatico i compagni di lavoro. Fra Roberto pregava a pochi passi di distanza. Dopo qualche tempo il capo-mastro si decise. Volle prendere quell'uovo per dividerlo in fette. Nel piatto, che avrebbe dovuto rimaner vuoto, comparve un secondo uovo. Preso quest'altro vi comparve un terzo, poi un quarto e così via e fino a che tutti gli operai poterono mangiare a sazietà... Il miracolo ci è stato tramandato dalla tradizione morronese.

Appena morto il Beato i pellegrini accorsero numerosi da tutto il Molise per venerare le sue spoglie mortali.

I miracoli che qui elenchiamo testimoniano ancora una volta che la morte di Roberto è realmente avvenuta in Morrone del Sannio, dappoiché i miracolati presso le sue spoglie sono tutti di paesi circonvicini a Morrone.

Una certa Aldoisia di Morrone, affetta da paralisi al fianco destro e sul punto di morire, volle che la conducessero nella chiesetta dove giaceva esposto il corpo del Beato. Bastò toccare quella santa spoglia che subito si senti liberata dai dolori e potè da sola speditamente camminare.

Dopo la sepoltura, Bartolomeo da Limosano (Campobasso), martoriato da una sciatica che per ben sei mesi lo aveva ridotto ad uno straccio umano, venne a visitare il sepolcro del Beato ed il miracolo fu cosi eclatante che presso la stessa tomba furono richiamate centinaia di persone.

Un sacerdote inglese a nome Giovanni soffriva da anni di «pustula a contenuto purulento » ed ogni medicamento a nulla era valso. Dopo aver baciato la tomba del Beato «la pustula» scomparve sull'istante ed il malato fu salvo. La signora Maria, moglie di Nicolò Diodati da Morrone, non riusciva a guarire da una terribile gotta. Solo al cospetto del corpo del Beato il male scomparve.

Il monaco Guglielmo da Limosano soffriva di mali interni al punto che le sue viscere «non si potevano contenere in loco». Alla morte del Beato si recò al suo sepolcro ed il miracolo fu così grande che ogni traccia di male scomparve ed egli potè girovagare per le campagne, lodando il Signore. Una non ben definita signora Trotta, pare della vicina cittadina di Campolieti, nel Molise, oltre a soffrire di paralisi per ben cinque anni, sopportava dei dolori che l'avevano abbruttita nel volto e la facevano latrare come un cane. Al tocco delle sole pietre del sepolcro del Beato Roberto fu completamente liberata dal mali.

 

Maria Giudici da Mirabello (Campobasso). Essendo restata priva di un braccio, ricorse al Beato. Quell'arto secco e completamente privo di vita, presso la tomba di Roberto, tornò ad articolarsi improvvisamente. Il cieco Tommaso Ferrarese riacquistò la vista per intercessione del B. Roberto. La signora Purpura da S. Martino in Pensilis (Campobasso) potè riottenere l'uso dell'udito senza alcun medicamento e solo per grazia del Beato.

Un tal Fiore da Mirabello del Molise fu miracolato nella sua mano resa arida da diversi anni.

Dai tempi della sua morte ad oggi il Beato Roberto ha sempre protetto i suoi devoti e largito grazie ai suoi figli che fiduciosi in Lui sono accorsi. Una signora, tuttora vivente in Salle, nell'anno 1958, affetta da cancro era stata licenziata dai Medici locali. Fu trasportata a Bologna in una grande e moderna clinica ,ma anche quegli illustri Professori ne diagnosticarono la fine. Visto che la scienza umana nulla poteva i familiari pensarono di riportarla a Salle ed attendere serenamente l'ora fatale.

La paziente volle ancora ricorrere al Beato Roberto. Depose tutti i suo gioielli presso l'altare dove si conservano le reliquie di Roberto e pregò con fede viva.

Da quel giorno si senti migliorata. Dopo qualche tempo fu di nuovo sottoposta a visite mediche e fu trovata completamente guarita.

Attualmente la donna vive e non manifesta alcun disturbo.

A Morrone del Sannio, nell'anno del 1959, la giovanissima Maria Teresa Notarmaso, di anni 21, da oltre quattro giorni giaceva irrigidita nel suo piccolo lettuccio e non prendeva alcun cibo. Veniva nutrita con supposte. Il dott. Mastrandrea Giovanni, medico curante, non soddisfatto della sua opera, convocò al capezzale della paziente i medici Iorio Raffaele e Colasurdo Achille. In seguito fu fatto venire da Campobasso il prof. Salvatore Saggese, il quale diagnosticò «encefalite», ma nulla potè fare.

I genitori, abbandonata ogni speranza, fecero somministrare alla giovane la estrema unzione e si attendeva la morte.

Il Rev. don Giuseppe Mustillo ebbe l'ispirazione. Ricorse alla intercessione del Beato Roberto ed inviò, tramite la sorella Antonietta, una reliquia del Beato all'inferma, raccomandando di depositarla sotto il guanciale. Casi fu fatto.

Il giorno successivo la giovinetta ritornò alla vita con guarigione completa tanto da riprendere cibo e stare bene.

Per tutto il Molise si gridò al miracolo e ceri furono accesi all'altare del Beato e sante Messe furono celebrate in tutte le chiese dell'abitato di Morrone.

Elencare altri miracoli o tali ritenuti dal popolo? Potremmo, senza sforzo, riempire pagine e pagine di un grosso volume.

Ricordiamo semplicemente che il citato Padre Aurélieu, nell'opera ricordata a pag. 201, scrive: Des miracles s'étant operés à son tombeau, que le Saint-Siège Apostilique le déclara Bienheureux ».

« Furono tanti i miracoli avvenuti presso il suo sepolcro che la Chiesa cattolica lo ha proclamato Beato ».

E Beato dovette essere realmente dichiarato se, a memoria dei nonagenari morronesi, viene ricordata la sua festa del 19 maggio, come di precetto per Morrone e se tale festa e fiera è riportata in almanacchi, lunari, elenchi ufficiali di feste e fiere del Molise.

Tale festa e fiera che rimonta, con molta probabilità, al secolo XVI. è fissa e non mobile e continua ancora oggi, a distanza di ben cinque secoli, a richiamare pellegrini da ogni contrada.

DEVOZIONE E CULTO NEI SECOLI

Nel capitolo precedente abbiamo riportato il passo di Padre Aurélleu testimoniante la dichiarazione di Beato per il nostro Roberto. Non sappiamo però in quale epoca la Santa Sede lo abbia proclamato Beato. Non conosciamo se vi fu un regolare processo. Documenti di tal genere non siamo riusciti a rintracciare nonostante le nostre assidue ricerche e la nostra ferma volontà. Siamo certi che documenti riguardanti il Beato dovevano trovarsi negli archivi della Casa Angioina, ma la venuta di Napoleone 1º in Italia ed il suo appropriarsi di opere d'arte non ci ha rimasto la possibilità di consultazione. Documenti, manoscritti, libri e pergamene furono da questo Imperatore traslocati a Parigi e tuttoggi sono conservati nella Bibliotheque Nationale di Francia, ma la moltitudine delle opere non è inventarlata e la consultazione è pressocchè impossibile.

Allora i termini da proporre sono due:

La beatificazione fu «formale» o « equipollente »?

 In altre parole la beatificazione fu per decisione della Chiesa o per volere del popolo?

Sappiamo solo che Frà Roberto fu di certo un religioso fornito di virtù eroiche, di costumi e disciplina sommi, di bontà infinita, di spirito di sacrificio incommensurabile, di santità riconosciuta dalle folli, di virtuosità eccellenti, di fede e di opere grandiose.

E probabile che, proprio per tutte queste doti non riscontrabili facilmente nelle creature terrene, il popolo lo abbia gridato Beato ed Il Vescovo della Diocesi lo abbia indubbiamente annoverato tra i « Beati ».

È probabile pure che la Chiesa lo abbia proclamato «Beato ufficialmente se si pensa che il Papa Alessandro III. (1159-1181) aveva di già disposto di riservare a sè ed ai suoi successori le sentenze di beatificazione e canonizzazione e che solo il Papa Urbano VIII. (1568-1623) con i suoi Decreti del 1625 e 1634 regolò definitivamente tali processi, affidando le cause alla Congregazione dei Riti.

Ma, sia la beatificazione formale e sia l'equipollente, è sempre un elevatissimo riconoscimento per un Personaggio ricco di virtù in terra ed una preparazione edificante per l'ulteriore riconoscimento della canonizzazione secondo il rito di oggi.

Vogliamo pure mettere da parte tutti i miracoli del Beato, riconosciuti o meno dalla Chiesa, e fermiamo la nostra attenzione sulla devo- zione e sul culto che frate Roberto ha sempre goduto tra il popolo.

Fin dalla morte per le contrade dell'Abruzzo e del Molise non si parlò mai di Frà Roberto, ma di San Roberto». Sempre la nostra gente lo ha chiamato ed invocato col nome di Santo».

Questo culto risale a diversi secoli or sono quando si pensa che in un manoscritto, a firma di notalo, ed in possesso della Famiglia De Benedittis da Castelmauro (Campobasso), del secolo XVI si parla diffusamente della devozione dei Morronesi per S. Roberto onorato in apposita chiesa.

Forse basterebbe questo culto perpetrato per oltre tre secoli per riconoscere ufficialmente la santità del nostro glorioso Roberto da Salle.

Per il Beato i Morronesi eressero un monastero a meno di cento metri dell'abitato di Morrone, i cui ruderi ancora testimoniano la grandezza e l'opulenza del fabbricato stesso.

Oggi accanto a quelle mura diroccate esiste una meravigliosa chiesetta, in parte costruita con le pietre del vecchio monastero, dedicata al Beato Roberto e nel cui interno, sull'altare maggiore centrale, una nicchia in marmo conserva la bella statua del «Santo» aggrappato alla Croce e nella veste di penitente, macerato nella carne e con gli occhi rivolti al Cielo.

La chiesetta, con i continui restauri, oggi come ieri, accoglie i pellegrini, custodisce il SS. Sacramento, ascolta l'umile preghiera dei fedeli, è sempre aperta al culto, vi si celebrano uffici di- vini e la S. Messa.

In questa chiesa, fino a qualche decina di anni addietro, si custodiva gelosamente un rozzo bastone in legno su cui il Beato aveva poggiato la sua destra nelle peregrinazioni apostoliche per la zona.

A memoria del Rev. Arciprete Don Gabriele Colasurdo, deceduto pochi anni fa in Morrone, In questa Chiesa e nel giorno della Festa del Beato vi si celebrava la Santa Messa addirittura dedicata al Beato Roberto e tale giornata era dichiarata di precetto per il paese.

 

Ancora oggi, nel giorno 19 maggio, il popolo di Morrone celebra la festa del Beato Roberto, rimontante all'incirca al secolo XV., con solenne processione della Statua per le vie dell'abitato, fuochi pirotecnici fragorosi, spettacoli folkloristici di piazza, S. Messe solenni, panegirici, S. Comunioni ed Uffici divini sempre affollati.

Dai paesi circonvicini giungono annualmente pellegrinaggi e la devozione del Beato Roberto non accenna a diminuire. Ai piedi del suo altare, nella romita chiesetta, corrono fedeli a pregare ed impetrare grazie. Nel giro di ogni anno il popolo grida a non meno di tre o quattro miracoli.

Sono «miracoli» non registrati, ma che hanno la forza di strappare lacrime nel popolo ed accrescere smisuratamente la potenza di una fede già potente.

Con la stessa intensità di fede il Beato Roberto viene festeggiato nel suo natio paese di Salle il giorno 18 di luglio, anniversario della sua morte.

Il suo trionfo per le strade del paese è segnato dalla solennissima processione diurna, dall'accompagnamento di tutte le Organizzazioni cattoliche, dalle luminarie e dal potenti fuochi d'artificio, dai rinomati Complessi bandistici, dai panegirici, dal numero considerevole delle Comunioni al suo altare, dall'amore che la sua gente di Abruzzo e del Molise gli ha sempre portato e gli porta.

Sempre nella cittadina di Salle, nell'interno della chiesa parrocchiale di S. Salvatore, esiste la bellissima Cappella dedicata al Beato Roberto con una sua statua nel cui interno sono conservate le ossa del «Santo» Qui si prega giornalmente e si celebrano le SS. Messe.

Ma il Beato Roberto è ancora glorificato nel grande Monastero di S. Spirito di Sulmona dove nel braccio sinistro dell'entrata vi è un altare dedicato a S. Pietro Celestino e, in una lastra squadrata posta nella mensa, si rileva la seguente iscrizione: CORPUS B. ROBERTI DE SALLA HIC IACET. ANNO 1754 CONDITUM ». Nel frontale della stessa, scolpita su marmo bianco, si legge ancora: CNRs. BEAT ROBI DE SALLA. QUI FUERAS PETRI SOCIUS MURRONIS IN ANTRO. HUNC ITERATO COMES, DIVE ROBERTE. REDIS: IURE IGITUR SOCIOS ARA  VENEREMUR IN UNA, QUOS AMOR, ET PIETAS VEXIT AD ASTRA PARES. Il Piccirilli in «Monumenti sulmonesi », per l'Editore Carabba di Lanciano in data 1888, afferma ancora che nell'Abbazia di S. Spirito vi era un monumento fatto a modo di arca di pietra lavorata per il Beato Roberto ».

Nell'inventario di tutte le cose mobili della Venerabile Abbazia di S. Spirito, fatto nel lontano 1642, a pag. 173, si legge: «appresso all'altare dello Spirito Santo, nel cantone, vi è l'urna e tumulo fatto a modo di arca di pietra lavorata, con una fenestrella, dentro della quale v'è il resto del Corpo del Beato Roberto, dentro una cassetta».

Oggi quel santo Corpo più non trovasi nel Monastero di S. Spirito, ma in Salle, paese nativo del Santo ».

La leggenda ricorda che, poco dopo la morte, il Beato Roberto dal suo eremo di Morrone del Sannio (Campobasso) fu trasportato, a dorso di mula, alla Badia di S. Spirito e che, in seguito, dopo il terremoto del 3 novembre 1706 che devasto Sulmona, le spoglie furono portate e custodite a Salle.

Altri studiosi si parlano di tumulazione provvisoria in Sulmona

Ma, tutto questo è marginale rispetto al culto ed alla devozione che il Beato godette e gode ancora tra il popolo e che a noi preme di dimostrare.

E per giungere a tanta dimostrazione abbiamo voluto scrivere delle sue chiese, del suoi altari delle sue feste, delle preghiere e del giubilo di centinaia di migliaia di fedeli.

Tutti questi ricordi, di ieri e di oggi, infatti, dimostrano chiaramente che Roberto da Salle è posto sugli onori degli altari, è glorificato, è osannato di contrada in contrada, è venerato in statue ed immagini, è pregato per grazie e favori celesti.

Centinaia di migliaia di fedeli, dalle terre di Abruzzo e Molise, alle Puglie e fino a Long Island negli Stati Uniti d'America, con una sola voce potente gli rendono onori e sulla bocca di tutti, come avvenne alla morte del Taumaturgo di Padova, Roberto da Salle è invocato col titolo di «San Roberto».

 

«Santo» lo chiama l'umile contadinella del Molise che passa vicino alle sue chiese e si segna col segno della croce; «Santo» lo proclamano i Medici di Morrone di fronte al fatto soprannaturale della giovanetta Notarmaso M. Teresa; «Santo» lo invocano le migliaia di pazienti guariti per sua intercessione; «Santo» lo cantano i pellegrini abruzzesi e molisani; «Santo» lo considerano i figli del Gran Sasso e della Maiella madre.

 

Come «Santo» è a lui dedicata la Cappella di Morrone; come «Santo» è a lui votata la chiesetta di Salle; come «Santo» la sua ieratica statua è posta sugli altari di Salle e di Morrone ; come «Santo» sono venerate le sue reliquie in una Teca prima nella Cattedrale di Sulmona ed ora all’Eremo celestiniano del Morrone, giusta notizia del Can. D. Armando Leombruno. «Santo» lo invocano le numerose collettività degli Stati Uniti d’America formate da umili operai e da professionisti di talento, i quali da quella lontana terra ardentemente desiderano adorare Roberto con l’aureola di «Santo» ufficialmente riconosciuto.

FONTI STORICHE E TESTIMONIANZE

Mons. GIUSEPPE CELIDONIO: Vita di S. Pietro del Morrone, Celestino Papa V. Ed. Artigianelli Abruzzesi di Pescara.

C. TELERA: Historia sagra degli huomini illustri per santità della Congregazione del Celestini dell'Or- dine di S. Benedetto Ed. Bolognese del 1648 e Napoletana del 1666 per G. Monti. Vedi pagg. 209-272.

V.Z.: Vita del Beato Roberto di Salle Ed. Officine Grafiche Bonanni in Chieti. Anno 1939. ZIMMERMANN: Kalendarium Benedectinum Vo- lume II. a pag. da 470 a 471. Edizione dell'Abbazia Benedettina di Matten - Anno del 1934.

P. BOSCHIO: <Acta Sanctorum Julii del Padri Bollandisti in Parisiis et Romae, apud Victorem Palme. Anno del 1868. Nel Tomo IV. del mese di lugllo da pag. 489 a pag. 509, in follo ed a due colonne, si riscontra l'intera vita del Beato Roberto. L'Opera è divisa in due sezlont: la prima «Commentarius Paevius ha tre paragrafi: a) B. Roberti cultus et acta; b) Series chrono- logiae vitae B. Roberti privatae; c) Continuatio chronologica ed munia in Ordine pubblica. La seconda sezione è intitolata: Vita er cod. ms. RR. PP. Celestinorum Parisiis», ripartita in un prologo ed otto capitoli con annotazioni a ciascun capitolo.

Can. GABRIELE OBLETTER: Santi, Beati e morti in fama di santità delle Diocesi di Chieti e Vasto Ed. La Fiorita di Teramo. Anno del 1924.

VINCENZO ZECCA: Memorie artistiche istoriche della Badia di S. Spirito sul monte Maiella con cenni biografici degli illustri monaci che vi dimorarono ed una appendice sulla Badia del Morrone in Sulmona, Ed. Tipografia all'Insegna di Diogene di Napoll. Anno del 1858.

TOCCO: I fraticelli o poveri eremiti di Celestino V.> In Bollettino della Società Storica Abruzzese di Aquila. Anno del 1895 - VII.

Don G. MEAOLO: Arpa di cielo Il Beato Roberto da Salle, monaco celestino - Tip. Pia Soc. S. Paolo di Pescara nel 1957.

Padre AURELIEU: Saint Pierre Célestin Edizione di Bar - Le Duc in Francia. Anno del 1873.

FRANCESCO SARDI DE LETTO: Studio monografico di ricerca sul Beato Roberto eseguito espressa- mente su commissione dell'Autore del presente volumetto. Sulmona 21 ottobre 1959.

Manoscritto del primo Ottocento, in possesso del dott. Gino Parente, appartenente al Rev. Arcipr. Mons. Gabriele Colasurdo. Si cita il Monastero intitolato al Beato in terra di Morrone del Sannio e la consistenza.

Mons. G.B. TRIA: Memorie storiche, civili ed ecclesiastiche della città e Diocesi di Larino» Edito in Roma nell'anno del 1744.

Antico manoscritto in possesso della Famiglia De Benedittis da Castelmauro con citazione del Monastero del Beato in Morrone.

 

                                                                                                                                   GINO PARENTE.